UNA QUESTIONE PRIVATA
Down in Mexico…
Una questione privata, P. e V. Taviani, Italia, 2017, film che dà il titolo alla rassegna
C’est eux les chiens, H. Lasri, Marocco, 2013, 85′
Vals Im Bashir (Valzer con Bashir), A. Folman, Israele-Germania-Francia, 2008, 90′
The Look of Silence, J. Oppenheimer, Danimarca-Norvegia-Finlandia-Regno Unito, 2014, 102′.
Missing, Costa-Gavras, Stati Uniti, 1982, 122′
Essi vivono!
Nell’attesa di tornare al nostro appuntamento settimanale a Seriate abbiamo pensato di farvi compagnia con alcune proposte di visione.
Si tratta di rassegne già organizzate che non abbiamo potuto proporvi, film per i quali avevamo scritto qualche pensiero che desideriamo condividere almeno in forma virtuale, e film che probabilmente non proietteremo mai, ma che potreste considerare dei consigli di visione. Questa settimana vi proponiamo la rassegna:
Una questione privata
La rassegna prende il titolo da un film dei fratelli Taviani che si intitola “Una questione privata”, a sua volta ispirato all’omonimo romanzo di Beppe Fenoglio.
Potremmo dire che il cinema si occupa quasi sempre di “questioni private”, anche quando cerca di mettere in scena avvenimenti storicamente accaduti. Ma soprattutto, viceversa, l’ineluttabile sguardo privato, proprio del cinema, porta alla luce una consapevolezza collettiva, il rapporto individuo-società, il peso delle scelte del singolo di fronte al destino delle moltitudini.
I protagonisti di questi film sono tutte persone “normali”, comuni, anzi, sono spesso descritti nella loro umile e meschina umanità, e i film insistono tutti su questo aspetto: la questione privata non è questione d’eroi.
Profondamente legato al “privato” sorge il tema della memoria, ovvero chi ricorda, cosa e come, della propria storia personale e degli eventi che la determinano.
Presentiamo quindi quattro film che hanno a che fare con delle forme differenti di memoria, all’interno dello scenario della “questione privata”; parliamo di quattro modi diversi di ricordare, a partire da storie singole e universali al tempo stesso, un intrecciarsi di motivazioni soggettive e di vincoli collettivi, che lasciano spazio a certe domande improcrastinabili, ma forse inevitabilmente sconfitte in partenza, circa l’orizzonte di possibilità che ci resta, in quanto individui, di fronte alla Storia.
C’est eux les chiens, ovvero le rotelle della memoria (di H. Lasri, Marocco, 2013)
Una troupe televisiva è in piazza a Casablanca, per un servizio sulle proteste del 2011 delle primavere arabe. Il presentatore è colpito dalla figura di un anziano, che appare completamente spaesato e vaga senza meta per strada. La troupe decide di seguirlo e scopre la sua storia, che porta lo spettatore a risalire la storia politica del Marocco, gli anni di piombo di Hassan II e le repressioni in seguito alle proteste popolari per il caro vita del 1981.
Il vecchio, di cui non sapremo mai il nome (emblematicamente ricorda solo il suo numero di matricola, 404, come il mancato caricamento di una pagina su internet, un errore che impedisce la visione), era stato arrestato nel 1981 e si ritrova finalmente libero, ma senza percezione del tempo che è passato (il suo orologio è rotto, come del resto gli orologi di tutti i carceri del mondo che, per ironica crudeltà della sorte, sono sempre senza pile).
Vuole trovare sua moglie e i suoi figli, e la troupe decide di accompagnarlo.
Vuole cercare delle rotelle per suo figlio. Il ricordo a cui è aggrappato è questo, che il figlio non sa andare in bicicletta e ha bisogno degli stabilizzatori. Ma nel tempo trascorso, nel quale il vecchio è, di fatto, morto e sepolto (al cimitero c’è la sua tomba) la rotella della memoria gira a vuoto, non riuscendo a trovare né attrito né appoggio.
Il film è un mockumentary e le raggelanti scritte alla fine del film sono la testimonianza del filo sottile che divide il (finto)documentario e la realtà.
Ma è anche un road movie. I personaggi che si incontrano proseguono il dialogo mancato del protagonista sulle tracce del passato e in collegamento col presente. Che si tratti di amici di vecchia data, vecchi amori, o semplici sconosciuti di passaggio, ognuno contribuisce, col suo sguardo, a restituirci una memoria perduta e rincorsa, un pezzo di storia non riconciliata.
Valzer con Bashir, Una memoria svanita.
Ari Folman era un fante dell’esercito israeliano durante la guerra in Libano del 1982.
Viene visitato da sogni ricorrenti, tra cui emergono le immagini del massacro di Sabra e Shatila. Eppure della sua partecipazione alla guerra, e all’eccidio del campo profughi, non ricorda nulla. Si mette in contatto con una serie di ex commilitoni, che lo aiutano a far emergere brandelli di ricordi, costruendo così una sorta di quadro mnemonico collettivo.
La memoria dei compagni di Forman lo aiuta a far prendere forma ai propri ricordi, via via sempre più nitidi e precisi. La tecnica utilizzata da Folman asseconda questo progressivo venire alla luce dei ricordi. Buona parte del film è girato come un film d’animazione dai toni cupi.
La nitidezza del ricordo approda alla fine del film alla carne concreta, conquistando così lo spazio della testimonianza della memoria reale.
The Look of Silence, La memoria selettiva del potere.
Il documentario segue Adi, un oculista il cui fratello venne ucciso nei massacri che seguirono il colpo di stato del generale Suharto, in Indonesia. Con la scusa di un esame della vista, Adi viene in contatto con i carnefici del fratello, e non solo, chiedendo loro conto di quanto hanno fatto.
Seguito ideale di The Act of Killing, il precedente documentario di Oppenheimer, dove si chiedeva ad alcuni dei carnefici di inscenare i massacri post golpe, questo The Look of Silence segue invece il percorso inverso: parte dalle vittime per arrivare ai carnefici. O meglio, dato che i cadaveri non possono parlare, parte dal fratello di una vittima per fare in modo che i carnefici possano guardare al silenzio delle vittime attraverso una prospettiva per loro inedita.
Il ruolo di Adi sarà dunque quello di giustapporre alla montatura di una sorta di occhiali della memoria lenti sempre più potenti, allo scopo di far emergere una verità diversa da quella ufficiale, che ancora oggi legittima le purghe di massa.
Missing, la memoria perduta e ritrovata
Una questione privata, dall’inizio alla fine, quella che muove i passi di Ed Horman (Jack Lemmon), un “americano tranquillo”, che si reca nel Cile del golpe militare di Pinochet per cercare notizie del figlio, Charles, un giornalista scomparso da pochi giorni. Giunto sul posto, Ed, insieme alla nuora, si allontanerà sempre di più dalla versione ufficiale fornita dall’ambasciata statunitense. Prenderà a muoversi da solo nel tentativo di avere notizie sul figlio.
La verità sul coinvolgimento dei servizi segreti statunitensi nella pianificazione e l’attuazione del golpe, il clima di terrore entro il quale è sprofondato il paese, gli abusi militari, tutto questo costringe Ed a una crescita improvvisa, a una perdita di un’innocenza coccolata dal privilegio della ricchezza e del benessere. Ed scopre il mondo ideologico e intellettuale del figlio, le cui parole risuonano in modo diverso se calate nella realtà cilena, rispetto a come apparivano quando venivano pronunciate dal salotto di casa.
Una questione privata che resta tale, Ed non vuole altro che trovare il figlio. La sua ricerca, però, lo porta obbligatoriamente a confrontarsi con fatti che privati non sono, lo costringe ad affrontare la memoria, perduta e negata e poi dolorosamente vinta.
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