PERLINE SUL FONDO

Appunti per un incontro con la Nouvelle Vague cecoslovacca

Le nouvelles vagues

Nonostante sia quasi impossibile rendere omogenee le tendenze che si sviluppano tra anni ’50 e ’60 e che vanno sotto il nome generico di Nuovo cinema, tuttavia alcuni elementi generali accomunano registi e cinematografie nazionali.

  • la generazione del Nuovo cinema era la prima ad avere una profonda consapevolezza della storia del cinema, acquisita grazie alle cineteche nazionali e alle scuole di cinema.
  • vi è un balzo tecnico notevole. Le macchine da presa non hanno più bisogno di cavalletto, si sviluppano mirini reflex per vedere esattamente cosa era inquadrato dall’obiettivo e le pellicole migliorano in sensibilità e qualità. 
  • Si può così cominciare a girare in presa diretta, in modo veloce e con budget (relativamente) ridotti.
  • Spesso la macchina da presa sta lontana dal soggetto ripreso, l’azione viene seguita tramite panoramiche e i dettagli sono colti tramite zoom
  • Primi piani e campo/controcampo sono sempre più spesso realizzati grazie a focali lunghe (teleobiettivi). Questo aumenta le dimensioni dei soggetti inquadrati, riducendo contemporaneamente la profondità di campo, “avvicinando” così soggetti posti su campi differenti e appiattendo la prospettiva.
  • Si sperimenta a livello di montaggio, inserendo sequenze di repertorio oppure togliendo alcuni fotogrammi (effetto “salto” di Godard)
  • Si sperimenta il piano sequenza, tecnica che abbisogna della macchina da presa leggera
  • In linea con un certo cinema del dopoguerra, la narrazione perde sempre più i rapporti causa-effetto; si ricorre ad attori non professionisti; si riprendono eventi casuali, apparentemente non legati alla storia; si lascia spazio all’improvvisazione…
  • Si afferma il realismo soggettivo, soprattutto grazie al flashback, utilizzato per dar conto  delle immagini mentali dei personaggi.
  • L’abbandono del realismo oggettivo porta molti registi a una riflessione sul cinema, sul film come unica realtà raccontabile. Molti registi intervengono direttamente tramite voice over, didascalie o movimenti di macchina ostentati. 

 

L’Europa orientale e il cinema del secondo dopoguerra: pillole

Il cinema dell’Europa orientale imitava inizialmente la struttura sovietica: produzione centralizzata e sceneggiature approvate dal Partito che controllava anche la distribuzione e l’esercizio.

Il Partito aveva il potere di proibire anche un film già completato.

I paesi dell’Est europeo diedero grande importanza a un’istruzione cinematografica specializzata e scuole avanzate furono aperte un po’ ovunque. A Praga venne aperta la FAMU.

Presto i paesi dell’Europa dell’Est abbracciarono il realismo socialista sovietico secondo Ždanov (morto nel 1948). Ogni nazione sviluppò la propria personale variante sui film di guerra, ma qualcuno trovò un rifugio dallo Ždanovismo nel disegno animato e in Cecoslovacchia e Iugoslavia nacquero importanti studi specializzati in animazione.

Il disgelo (1953-1964 tra la morte di Stalin e la caduta di Chruščёv) portò in molti Paesi dell’Est europeo un nuovo fervore culturale con riviste, gruppi artistici e stili sperimentali che forzarono la linea ufficiale. Nuove tendenze, spesso collegate a un più ampio rinascimento culturale che investiva letteratura, teatro, pittura e musica.

Diverse nazioni presentavano soluzioni meno rigidamente controllate di quella sovietica.

Dal 1963 la Cecoslovacchia provò la strada (già attuata dalla Polonia nel 1955) delle “unità creative cinematografiche”, in ciascuna delle quali registi e sceneggiatori lavoravano sotto il controllo di un regista più anziano. Gli autori di questi Paesi si ritrovarono così più liberi di esplorare soggetti, temi, forme e stili di maggior freschezza.

 

In Cecoslovacchia: pillole

Arrivati al 1968, le unità produttive erano oramai indipendenti e la censura si era ridotta. Gli autori più giovani – in gran parte laureati alla FAMU – esordirono nel cortometraggio nei prima anni ’60.

Conoscevano il neorealismo, la scuola polacca e la Nouvelle Vague. Con il processo di normalizzazione seguito all’invasione della Cecoslovacchia venne bandito qualsiasi film che fosse in sintonia con lo spirito di critica sociale tipico della Primavera di Praga.

Già l’anno prima Fuoco ragazza mia! di Forman aveva scatenato critiche da parte dei funzionari, dal momento che mostrava una società repressa sessualmente e dedita a piccole meschinità e ruberie e una burocrazia incompetente che si perde in minuzie.

Le scene di ballo usate come parte per il tutto della società già erano presenti nei primi due fil di Forman, rispettivamente L’asso di picche (1953) e Gli amori di una bionda (1965).

 

Cinema e letteratura

Delle tante possibilità per leggere il fenomeno della nuova ondata del cinema cecoslovacco ne scelgo una: il suo rapporto con la letteratura, o meglio con un tipo particolare di letteratura. Nel decennio successivo alla prima guerra mondale a servire da soggetto erano opere provenienti dalla periferia della produzione letteraria. Romanzi d’amore, commedie provinciali, melodrammi… Nonostante ciò la letteratura classica ceca non resta del tutto estranea alla sfera d’interesse del cinema, ma si tratta di un semplice calcolo basato sulla notorietà dei modelli prescelti.

Fino agli anni ’30 compresi i registi manipolavano i motivi presenti nei soggetti senza alcun imbarazzo e in maniera talmente libera da modificare completamente la risonanza ideologia dell’opera. Tuttavia nello stesso periodo l’aumento dell’interesse nei confronti di opere concettualmente più impegnative fu sostenuto anche da istituzioni culturali legate al mondo della cinematografia, che si ponevano il compito di elevare la produzione nazionale al livello di arte. Inoltre apparvero registi che nutrivano un interesse nei confronti di soggetti letterari di qualità, ai quali ci si accostava con deferenza e mai come a una fonte d’ispirazione.

Solo alle fine degli anni ’50 con la nouvelle vague si osa per la prima volta mutare del tutto posizione nei confronti del libro filmato ed elevare sopra ogni altra cosa l’atteggiamento soggettivo del regista. Si apre così la prospettiva di una libera manipolazione intellettuale del testo originale, nel momento in cui il regista si impadroniva nel diritto di svilupparlo in maniera del tutto personale.

Tra gli anni ’50 e ’60 i giovani cineasti esordienti venivano dalla FAMU e, forti di un’elevata consapevolezza del mezzo cinematografico, si orientano in modo nuovo verso le opere letterarie, seguendo il modello francese. Negli anni ’60 più di sessanta film furono tratti da opere in prosa. Nello stesso periodo debuttarono più di una decina di registi, il cui rapporto con gli autori era completamente mutato: spesso registi e scrittori erano contemporanei e condividevano esperienze e visione del mondo.

Lo scrittore più frequentato dai registi del nuovo cinema ceco fu Bohumil Hrabal.

I suoi racconti ispirarono il film film manifesto della Nová vlna, vale a dire Perline sul fondo (1965), un film a episodi firmato dai maggiori registi della Nová vlna.

I giovani cineasti si trovavano in perfetta sintonia con i testi di Hrabal, ma li intendevano allo stesso tempo anche come un invito ad assumere un atteggiamento che voleva superare il confronto con l’autore non inserendo la maggior quantità possibile di motivi e di personaggi, ma rimanendo fedeli allo spirito dell’opera, pur modificandone avvenimenti e personaggi. Da un suo romanzo omonimo viene tratto nel 1966 Treni strettamente sorvegliati di Menzel; altro riuscito adattamento è quello che viene portato a termine da Jaromil Jireš nel 1969 con Lo scherzo, tratto da un romanzo di Kundera. Altro esempio ancora è Il bruciacadaveri (1968) di Juraj Herz, tratto dall’omonimo romanzo di Ladislav Fuks.  

L’ultimo esempio rappresenta l’adattamento più difficile e forse il più riuscito del gruppo: Marketa Lazarová (1967) di František Vláčil, tratto dal romanzo Il cavalier bandito e la sposa del cielo di Vladislav Vančura. Qui non si tratta di una traduzione dalla forma letteraria, ma di una libera rielaborazione dei motivi chiave e della creazione di un insieme nuovo e autonomo.

Gli anni ’60 misero in dubbio la leggenda sull’impossibilita di filmare alcune opere letterarie, e questo anche grazie alla maturità del linguaggio e dello stile cinematografico, che riusciva ora a presentare idee astratte, linee narrative non lineari, associazioni di idee, interiorità dei personaggi…

 

La Nová vlna slovacca

Alla FAMU di Praga studiavano la maggior parte dei registi slovacchi.

Studiare alla FAMU offriva anche la possibilità di conoscere le opere della cinematografia mondiale, conservate nelle collezioni dell’Archivio cinematografico di Praga. Alla fine degli anni ’50 i maggiori registi stranieri partecipano alle conferenze organizzate dalla FAMU. Contestualmente comunicavano a cambiare i metodi di insegnamento, soprattutto grazie all’attività pedagogica di Otakar Vavra, che insegnò regia ai maggiori esponenti della Nová vlna, incoraggiandoli a elaborare una formulazione artistica indipendente. A cavallo tra gli anni ’50 e ’60 l’atmosfera alla FAMU era caratterizzata da un clima di discussione che favoriva il contatto personale e creativo, come quello che si stabilì tra i registi della Nová vlna ceca e i loro più giovani colleghi slovacchi (Juraj Jakubisko, Dušan Hanák e Elo Havetta), collegamento che invece mancò ai registi di una generazione precedente, quei registi che segnarono l’inizio del nuovo cinema slovacco.

Nello sviluppo del cinema slovacco degli ani ’50 si rifletteva soprattutto l’assenza, prima del 1945, di una più ampia tradizione cinematografia professionistica. In Slovacchia non esistevano adeguati presupposti economici, tecnici e soprattuto umani che consentissero lo sviluppo di una cinematografia nazionale. La grande opera del cinema slovacco era stata, fino a quel momento, La terra canta (Karol Plicka, 1933).

I canoni del realismo socialista intervennero su una cinematografia in fase di formazione e solo alla fine degli anni ’50 il cinema slovacco cerca di prendere in mano il proprio destino, soprattutto grazie all’opera di Stefan Uher (Il sole nella rete del 1962). Comincia allora ad acquistare maggiore importanza la fase di realizzazione del film. Il tema non viene più espresso semplicemente nell’azione, ma anche attraverso la realizzazione del racconto. Nella prima metà degli anni ’60 ci si appropriava definitivamente del linguaggio cinematografico, della grammatica dei mezzi espressivi, lanciando così l’opera dei registi della seconda metà degli anni ’60, i già citati Juraj Jakubisko, Dušan Hanák e Elo Havetta. Con loro muta il rapporto nei confronti della realtà: essa non costituisce più l’unico valore e l’unica misura possibile di tutte le cose. L’unica certezza è adesso il mondo interiore dell’artista: la realtà viene conosciuta attraverso la visione soggettiva. I loro film non cercano più di cogliere la realtà obiettiva, ma di crearne una nuova, una realtà cinematografica, ora modificando e ora turbando la piattezza del mondo reale.

I personaggi di Jakubisko reagiscono alla pressione della realtà liberando la propria spontaneità, sforzandosi di realizzare la propria immagine della felicità attraverso il gioco, attraverso atti bizzarri e comportamenti folli, mai però predeterminati. Si vede Uccellini, orfani e pazzi del 1969.

Dušan Hanák supera in modo diverso la piattezza dell’esistenza umana. In lui c’è uno stretto legame con la realtà, lo sforzo di dare autenticità a una rappresentazione contrappuntista che si basa sulla conoscenza, sull’analisi, sulla valutazione… Lo sviluppo del nuovo cinema slovacco fu interrotto dall’evolversi della situazione politica e sociale dopo l’occupazione della Cecoslovacchia. La repressione iniziò nel 1970, ma fino al 1972-73 ci furono ancora margini di libertà, seppur sempre più risicati. La maggior parte dei registi di spicco girò, se girò, con grandi difficoltà. A Jakubisko e altri venne imperito del tutto, mentre Havetta e Hanák riuscirono a girare un film a testa nel 1972, film che, però, finirono sotto chiave. Vediamo il film girato da Hanák nel 1972 Immagini del vecchio mondo, film che verrà dissequestrato solo nel 1988.

 

Allodole sul filo

Destino analogo al film di Hanák, subì Allodole sul filo di Jiří Menzel, iniziato nel 1968 durante la Primavera di Praga, sequestrato l’anno successivo quando il film era in fase di distribuzione perché ritenuto troppo dispregiativo verso la classe lavoratrice. A Menzel fu impedito di lavorare per 5 anni. Il film riemerse solo nel 1989, venne presentato a Berlino, dove vinse l’Orso d’Oro.

 

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