RE DELLA TERRA SELVAGGIA
Da mercoledì 16 gennaio 2019
Per quattro mercoledì di seguito, dal 16 gennaio al 6 febbraio compresi, ci troviamo presso la biblioteca di Seriate per vedere quattro film. Proiezione alle ore 21 e a seguire dibattito (e ogni tanto qualche dolciume)
Rassegna Re della terra selvaggia
Ora, quando ero bambino avevo una passione per le carte geografiche. Stavo ore a guardare il Sud America, l’Africa o l’Australia, e mi perdevo nelle glorie dell’esplorazione. Allora c’erano parecchi spazi vuoti sulla terra, e quando ne trovavo uno che sembrava particolarmente invitante sulla carta (ma lo sembravano tutti) ci mettevo il dito sopra e dicevo: “Quando sarò grande andrò là”. Ricordo che il Polo Nord era uno di quei posti. Be’, non ci sono ancora andato e non ci proverò adesso. L’incanto è svanito. C’erano altri posti sparsi intorno all’equatore e a ogni sorta di latitudine in entrambi gli emisferi. In alcuni ci sono stato e… be’, lasciamo perdere. Ma ce n’era ancora uno – il più grande, il più vuoto per così dire – che volevo vedere a tutti i costi.
È vero, a quel punto non era più uno spazio vuoto. Dalla mia infanzia si era riempito di laghi e fiumi e nomi. Aveva cessato di essere uno spazio vuoto incantevole e misterioso – una macchia bianca che un bambino può riempire di sogni di gloria. Era diventato un luogo di tenebra…
(Joseph Conrrad, Cuore di tenebra)
Che il romanzo d’avventura in generale, e in particolar modo quello dedicato ai ragazzi, abbia, lungo tutto il corso dell’ottocento, servito istanze coloniali, è un aspetto sul quale si è oramai lungamente dibattuto. I romanzi di George Alfred Henty coprono l’intera estensione geografica degli interessi inglesi; la celebrazione romanzesca dell’eroe europeo, sia esso un esploratore, un evangelizzatore, un soldato o un commerciante, risponde a logiche di appropriazione del territorio, delle anime, dei corpi o dei beni delle popolazioni colonizzate; le teorie poligenetiche emergono chiaramente dai testi dei romanzi d’avventura…
Lo spirito avventuroso che innerva buona parte della letteratura di consumo dell’Europa del secondo ottocento elegge i luoghi esotici delle colonie a fondale ideale per le proprie incarnazioni. L’altrove potrà essere descritto in maniera più o meno realistica, il percorso dell’esploratore dettagliato con minuzia lungo ogni sua tappa; le magie degli stregoni – poiché tali sono sempre considerati i sacerdoti delle religioni dei popoli colonizzati – osservate con acume; le battaglie dipinte come in un trattato d’arte militare; le triangolazioni commerciali riportate con la pignoleria d’un contabile; eppure, non appena si comincerà a vagheggiare d’un tesoro sepolto, d’una civiltà nascosta, d’una divinità che ancora cammina sulla terra, d’una inaccessibile regina o principessa, di materiali preziosi ben celati nel cuore di tenebra del paese selvaggio, non appena tutto questo entra in gioco ecco che lo spazio prima così ben dettagliato scompare, sostituito da un altrove indefinito, che potrebbe essere situato ovunque. Si tratta di un luogo che viene attivato dall’istanza avventurosa. Se c’è avventura, non ci sono davvero posti geograficamente definiti, ma solo il luogo, i luoghi, dove l’avventura prende corpo, luoghi che si definiscono per gli attributi propri dell’avventuroso (selvaggi, pericolosi, pieni di fascino, portatori di ricchezze e di morte insieme, terre senza leggi…), non certo dell’antropologico e del politico, sebbene proprio la riduzione alle logiche dell’avventuroso di terre e popoli diversi siano tra i portati dell’antropologia razziale e della politica coloniale.
La più grande di tutte le avventure è quella di incarnare la politica coloniale a tal punto da voler essere re, di dominare territori lontani e sconosciuti. Questo ciclo di film presenta quattro diverse declinazioni di questa stessa volontà.
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